Una cosa che mi sono sempre chiesta è: perché la solitudine spaventa così tanto? In questo post cerco di dare qualche risposta, ma soprattutto, spiego perché per me invece è fondamentale coltivarla, per stare bene con se stessi e con gli altri.
Faccio parte della generazione nata negli anni ’80 e sono cresciuta con la costante che se non facevi parte del gruppo eri un po’ una sfigata.
Ecco, io lo sono sempre stata, una sfigata intendo: sia chiaro, nel gruppo ci stavo anche, ma a 14 anni ero già consapevole del potere rigenerante che la solitudine esercitava su di me. E ho capito inoltre che: tantissimi vivono con puro terrore il tema della solitudine; quelli che non coltivano la propria solitudine sono gli stessi che poi fanno più fatica a stare con gli altri.
La solitudine che fa bene alla comunicazione
Già lo sento: come fai a scrivere un elogio sulla solitudine tu che di lavoro ti occupi di comunicazione? Rispondo con un’altra domanda: come faccio senza solitudine a fare comunicazione? La solitudine è prima di tutto conversazione e confronto con l’altra me stessa, quella che conosco solo io: quella autentica, quella che mi permette di essere diversa – nel bene e nel male – da tutti gli altri.
La solitudine come strumento rigenerativo
Questa settimana l’ho passata lontana dal lavoro: è un lusso che mi sono voluta concedere dopo un periodo di lavoro lungo, faticoso e senza mezzi termini stressante. Non sono andata su un’isola deserta a sorseggiare cocktail e non ho fatto chissà che: è stata una settimana morigerata, molti probabilmente potrebbero definirla noiosa.
Essere lasciati soli è la cosa più preziosa che si può chiedere al mondo moderno. – Anthony Burgess
Ho passato questa settimana al mare, nello stesso posto in cui trascorrevo le vacanze estive da bambina: qui non c’è molto, a parte chilometri di pineta, spiaggia e mare (che comunque: pare poco?). Sono venuta qui prima di tutto per nutrire la mia solitudine e per confrontarmi con l’altra me. Ho corso, ho fatto qualche giro in bicicletta, ma soprattutto ho camminato tanto: in pineta, sulla spiaggia, da un paese fino a raggiungere quello successivo.
Ho scollegato internet e insieme il cervello, ed è stato bello. Dopo quello che per me è sembrato un periodo interminabile di to do list, call su skype, numeri, notifiche sullo smartphone, ore passate al computer, pensieri sul come fare a incastrare tutto, è stato bellissimo finalmente concedersi il lusso di non pensare e di non programmare niente.
Ecco, questo è un esercizio che consiglio di fare, almeno una volta all’anno: non è necessaria una settimana intera, ma sono abbastanza certa nel sostenere che comunque un week end sia troppo poco. Prenditi del tempo per te e per te soltanto: niente amici, niente partner. È il regalo più bello che ti puoi fare. Solo tu e l’altro, quello che sta nel tuo profondo. E vedi cosa ti racconta: di solito non delude mai, perché è brillante, incredibilmente sveglio e capace di darti nuova forza, risposte, idee e sostegno.
E nel lavoro?
Serve anche per il lavoro: un periodo di solitudine permette di guardarsi indietro e tirare le somme, per rigenerarsi e volgersi al futuro prossimo con rinnovata positività e propositività. Com’è stato il lavoro? Hai raggiunto (o stai raggiungendo) i tuoi obiettivi? In cosa sei riuscito particolarmente bene e cosa invece devi rivedere? Fa parte della ruota di cui ho già ampiamente trattato in passato: studia, progetta, metti in pratica, monitora ed infine analizza. Poi, ricomincia da capo.
Per concludere
Perché scrivo tutto questo? Perché sono fermamente convinta che non ci si debba far spaventare dalla solitudine, che sia una cosa bella e che vada cercata e coltivata, grazie alla quale si può tornare nel mondo pieni di positività, creatività e idee brillanti da condividere e far splendere con il prossimo.