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#seispeciale

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Questo per me è un post difficilissimo da scrivere, perché condensa tutto quello che mi si annoda nel cervello da un bel po’: alcuni sono pensieri di anni, altri sono cambi di prospettiva che ho fatto in questo anno che si sta chiudendo.

Partiamo con una domanda e una risposta: tu cosa hai imparato in questo 2015? Io a fidarmi delle donne. Eh, sì.

Presupposto: non mi sento una femminista, o meglio, credo che il concetto sia ormai superato. Però nella mia testa c’è tutto quello che una donna moderna può domandarsi al giorno d’oggi: perché a parità di mansioni lo stipendio di una donna è minore di quello di un uomo? Perché ad un colloquio di lavoro è concesso e normale chiederle se ha intenzione di metter su famiglia? Perché alla nascita di un figlio è la donna quella che se sta a casa e non il marito? Confronto uomo donna, chiaro e semplice: fino a qui non dico niente di nuovo.

La gente mi definisce femminista quando esprimo sentimenti che mi rendono diversa da uno zerbino. —  Rebecca West, scrittrice britannica

Restringiamo il campo: come si rapporta invece una donna verso un’altra? Cosa accade quando una donna vuole fare qualcosa per un’altra? Ecco, per me qui arrivano i dolori. Se posso capire che un uomo difficilmente farà il mio interesse, mi viene male nel vedere quanto cattive e opportuniste possano essere alcune donne verso altre. Questa situazione per la sottoscritta è sempre stata piuttosto sofferta (pur cercando di non darlo a vedere).

C’è un posto speciale all’inferno per le donne che non aiutano le altre. — Madeleine Albright, ex segretario di stato americano

Negli anni ho imparato ad accettare tutto ciò passivamente (lo so, è brutto). È per questo che, senza in realtà volerlo ed accorgendomene solo ultimamente ho scoperto che:

  • preferisco lavorare in gruppi di lavoro composti da soli uomini;
  • non sopporto e vivo come ghettizzante tutto ciò che tende ad accostare la parola “lavoro” con “donna”, come: “progetti di imprenditoria femminile”, oppure “corsi di formazione volti al reinserimento della donna nel mondo del lavoro”;
  • ho la tendenza a pensare che – nel mio settore – un uomo ne sappia sempre più di una donna.

Ovviamente c’è un ma, grosso come una casa

Quest’anno ho incontrato un sacco di donne, che per semplicità raggruppo in tre insiemi:

  1. donne professioniste conosciute online (dalla wedding planner alla image consultant, dalla SEO consultant alla digital strategist);
  2. donne che mi hanno permesso di collaborare e lavorare insieme (spesso facenti parti dell’insieme sopra);
  3. donne che ammiro per il percorso professionale e/o personale che stanno compiendo.

Sono donne che non fanno parte di una generazione specifica. Sono donne di vent’anni, trenta, quaranta, tutte accomunate da un sogno potente: quello di farcela nel mondo del lavoro, con le loro uniche forze, senza precludersi il diritto di vivere un’appagante vita privata.

Sono donne che hanno trascorso l’infanzia in piccoli paesi di provincia e che – senza aver ancora ben chiaro in testa cosa avrebbero combinato – hanno lasciato famiglia, amici, amori per trasferirsi nel grigio di una città che difficilmente, almeno all’inizio, hanno immaginato come una casa.

Sono donne che nel loro piccolo paese di provincia hanno scelto di viverci, nonostante tutto. Perché anche se quel paese non è minimamente paragonabile all’eccitazione che può dare il vivere in una metropoli, vuoi mettere lo svegliarsi al mattino, aprire le finestre e lasciarsi invadere dal profumo dei campi e dalla primavera che avanza?

Sono donne che dopo una vita dove non sai più dove finisce la tua e inizia quella di un altro, hanno lasciato il marito, e sono partite per città che non avevano mai nemmeno visto in vita loro. Sono quelle che in una calda estate hanno impacchettato le loro cose e hanno lasciato un tutto che ormai in bocca aveva il sapore del niente, per ricostruirsi altrove.

Sono donne che una famiglia se la stanno costruendo, con fatica immane, tra i soldi che un mese ci sono e un mese no, il mutuo e un figlio che non arriva mai.

Sono donne giovanissime, che si chiedono dove le porterà questa vita, che si sentono come una principessa persa in un bosco oscuro, che stringono nel cuore confusioni e non sanno che oltre quegli alberi le attende la bellezza di un sogno che può diventare realtà.

Tutte queste donne sono riuscite a ribaltare almeno due punti su tre di quelli che ho elencato poco più sopra.

Manca poco a Natale e io ho già scartato il mio regalo, perché ho capito che:

  1. opportunismo ed invidia non sono difetti esclusivi dell’animo femminile. Posso quindi lavorare serenamente e con profitto anche con un gruppo di donne (ed è pure figo);
  2. lavorare con le donne non è facile ma dà un sacco di soddisfazioni in più. Se lavori bene con loro ti porteranno sul palmo della loro mano, racconteranno di te e della tua professionalità ad altre donne, creando un passaparola naturale.

A tutte queste donne dico grazie: per essermi state vicine quando io mi leggevo lontana, per avermi permesso di conoscere un pezzetto del vostro mondo, per aver creduto in me e nella mia professionalità.

Se anche il tuo 2015 è stato pieno di persone belle, invia un tweet per dire loro grazie, usando l’hashtag: #seispeciale.

E ora via, verso un anno ancora migliore del precedente. Buon 2016 a tutti!

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